Artrosi all’Anca

 L’articolazione dell’anca nota anche come articolazione coxo-femorale è un’enartrosi  tra il cotile dell’osso iliaco e la testa del femore. Essa si compone di:

– la testa femorale di forma sferica, 

– la cavità acetabolare a forma concava, 

– una componente capsulolegmentosa

In una fisiologica articolazione coxo-femorale queste due ossa sono affrontate e rivestite da uno strato di cartilagine liscia ad aspetto madreperlaceo in grado di assicurare il perfetto scorrimento reciproco delle superfici articolari con il minimo attrito.

La superficie articolare del cotile (o acetabolo) è costituita dalla superficie semilunare , un anello fibrocartilagineo incompleto a forma di “C” ruotata di 90° in senso orario, tendenzialmente più stretto nella sua parte pubica e più largo nelle restanti porzioni, delimitata esternamente dal curvo margine dell’acetabolo ed internamente dal suo margine con la fossa acetabolare, posta più in profondità nella cavità acetabolare. Complessivamente costituisce circa i 3/4 di una circonferenza, interrotta dall’incisura acetabolare sottostante. La sua parte mediale (circa 1/5 dell’area totale) è costituita dal pube, la superiore (3/5 dell’area totale) dall’ileo, la laterale (2/5 dell’area totale) dall’ischio.

La superficie è liscia e ricoperta da cartilagine articolare ialina, che risulta più spessa ove la pressione del peso corporeo in posizione eretta è maggiore, cioè dove la sua superficie risulta più ampia. Questa cartilagine articolare deborda dal margine dell’acetabolo costituendo il labbro acetabolare, il cui bordo è leggermente ripiegato all’interno, così da restringere il diametro della cavità acetabolare e rendere l’articolazione coxo-femorale più profonda rispetto a quanto permetterebbero le sole superfici articolari ossee, oltre ad aumentarne la stabilità grazie all’azione di contenimento della testa del femore e all’effetto suzione. Presso l’incisura acetabolare le due estremità del labbro sono collegate dal legamento acetabolare trasverso. La fossa acetabolare invece è priva di cartilagine, ma riempita sino a livello di questa da tessuto adiposo fibroelastico, a sua volta rivestito dalla membrana sinoviale che produce liquido sinoviale con funzione lubrificante nonchè trofica nei confronti della cartilagine che riveste le superfici di scorrimento.

La testa del femore ha una forma sferoidale (circa i 3/4 di una sfera), ma diviene con l’avanzare dell’età sempre più sferica e possiede una curvatura inversa rispetto all’acetabolo, con la quale non è congruente. La sua  superficie ossea è liscia e completamente rivestita da cartilagine articolare ialina, più spessa al centro che ai margini ed in generale dove essa subisce un maggior carico, fatta eccezione per la fovea capitis (fossetta della testa del femore) dove è inserito il legamento rotondo del femore, grazie al quale è collegata alla fossa acetabolare. 

La capsula fibrosa dell’articolazione coxo-femorale è spessa e robusta. Origina mezzo centimetro medialmente al margine acetabolare, seguendone perlopiù il profilo sia anteriormente che posteriormente, fatta eccezione per alcune fibre che si fondono inferiormente all’acetabolo con il legamento acetabolare trasverso e con il margine superiore della membrana otturatoria. Le sue fibre longitudinali, dirette lateralmente, si inseriscono presso la linea intertrocanterica sulla faccia anteriore del femore, mentre si fermano alla metà del collo posteriormente e sono generalmente più spesse nella sua parte antero-superiore rispetto a quella posteriore. Spesso si fondono con il legamento ileofemorale. Una seconda tipologia di fibre, dette orbicolari, sono interne alle longitudinali e si fissano attorno al collo del femore, avvolgendolo e fondendosi in parte con i legamenti pubofemorale e ischiofemorale.

L’articolazione coxo-femorale presenta cinque legamenti, che influiscono sulla stabilità articolare con movimenti di estensione e rilassamento: ileofemorale, ischiofemorale, pubofemorale, rotondo del femore e acetabolare trasverso.

Il legamento ileofemorale, o del Bigelow, o di Bertin, è il più esteso e robusto dell’articolazione, viene talvolta definito legamento ad Y per la sua caratteristica forma ad Y ribaltata. Il “gambo” della Y, che costituisce l’apice, si inserisce lateralmente alla spina iliaca antero-inferiore e medialmente al margine acetabolare e costituisce la porzione centrale più debole del legamento, il quale poi si divide in una porzione mediale, che discende inferomedialmente verso la linea intertrocanterica, ed una laterale, che scende inferolateralmente verso di essa e la parte inferiore del grande trocantere. Alcune sue fibre sono spesso fuse con la capsula articolare antero-superiore.

Il legamento pubofemorale è di forma triangolare, la sua base origina dall’eminenza ileopettinea e dalla cresta otturatoria. Le fibre si portano inferolateralmente sino a fondersi, rinforzandolo, con la porzione mediale del legamento ileofemorale.

Il legamento ischiofemorale è costituito da una parte centrale che origina superiormente alla tuberosità ischiatica e si porta con andamento a spirale sino al grande trocantere del femore, fondendosi parzialmente con il legamento ileofemorale. Le parti mediale e laterale circondano posteriormente il collo del femore, inspessendo la capsula articolare.

Il legamento acetabolare trasverso è una corta banda di collagene che collega a ponte le due estremità del labbro acetabolare, chiudendo l’incisura acetabolare e costituendo il margine inferiore della fossa acetabolare in vivo. Possiede forami che lasciano passare rami del nervo otturatorio e dell’arteria otturatoria.

Il legamento rotondo del femore origina dalla parte inferiore della fossa acetabolare, appena sopra il legamento trasverso (con cui si fondono alcune fibre), e si inserisce sulla testa del femore presso la fovea capitis. Il legamento si tende durante l’adduzione dell’anca e si distende durante l’abduzione. È completamente avvolto dalla guaina sinoviale e sopra di esso (internamente alla guaina), decorre l’arteria del legamento rotondo, ramo dell’arteria otturatoria, che si porta sin sulla testa del femore.

L’artrosi è una malattia degenerativa progressiva  delle superfici articolari che colpisce più comunemente i distretti sottoposti al carico quali il ginocchio, l’anca e la caviglia .

Le superfici articolari diventano , con il progredire dell’artrosi,  più sottili e ruvide e pertanto sempre meno in grado di assicurare un soddisfacente scorrimento delle superfici con conseguente limitazione articolare e dolore.

L’etiopatogenesi dell’osteoartrosi può essere così suddivisa:

PRIMARIA: forme di origine meccanica conseguenti ad alterazioni strutturali congenite dei capi articolari, sia a forme degenerative idiopatiche (coxartrosi idiopatica)

SECONDARIA: forme acquisite derivanti da necrosi ischemiche, traumatismi, o malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica o patologie infettive articolari

L’esordio della malattia è spesso subdolo con occasionali episodi di coxalgia localizzata a livello della regione inguinale con irradiazione lungo la regione laterale della coscia sino al ginocchio e con riduzione progressiva della articolarità.

Inizialmente il dolore si manifesta dopo una deambulazione prolungata e recede con il riposo e con l’assunzione di farmaci anti infiammatori (dolore a tre tempi).

Con il progredire della malattia l’escursione articolare si riduce e il dolore diventa dominante con il manifestarsi al piu piccolo movimento dell’anca.  

La coxalgia e la rigidità articolare sono maggiori al mattino e dopo aver mantenuto a lungo una posizione obbligata.

Generalmente il dolore tende a scomparire/alleviarsi dopo qualche passo con una sensazione di maggior fluidità dell’articolazione . Tuttavia la coxalgia ricompare con il prolungarsi della deambulazione.

 Il trattamento conservativo dell’artrosi coxofemorale ha lo scopo di rallentare la progressione della patologia artrosica (non è possibile arrestarla in maniera assoluta) e con essa di alleviare la sintomatologia dolorosa nonchè mantenere valida l’escursione  articolare e il tonotrofismo della muscolatura annessa.

Un valido impiego è riconosciuto alla viscosupplementazione con acido ialuronico (Infiltrazioni eco-guidate all’anca) eseguita sotto guida ecografica al fine di ridurre al minimo il rischio di errore nella procedura in quanto l’articolazione dell’anca ha una collocazione più “profonda” rispetto alle altre articolazioni e quidi più difficilmente raggiungibile con precisione.

Questa procedura trova impiego in quei pazienti in cui la patologia artrosica non è in fase avanzata con il fine di andare a:

1) Lubrificare l’articolazione  riducendo l’attrito tra le superfici articolari e favorendo il movimento con riduzione del dolore

2) Nutrire la cartilagine sana rimanente rallentando la diffusione della suddetta patologia

Altri trattamenti conservativi di comune impiego sono:

Tecarterapia (per ridurre la sintomatologia dolorosa)

Chinesiterapia attiva e passiva dell’articolazione coxofemorale

Rinforzo della muscolatura glutea e quadricipitale unitamente ad esercizi di allungamento dei muscoli posteriori di coscia e di gamba

Magnetoterapia (finalizzata alla ristrutturazine dell’osso e all’aumento della su consistenza)

Il trattamento chirurgico nell’artrosi rappresenta l’unico trattamento risolutivo della patologia artrosica con restitutio ad integrum della funzionalità articolare, consentendo così al paziente di recuperare uno stile di vita normale unitamente alla propria autonomia.

La protesi d’anca è costituita da componenti artificiali in grado di sostituire funzionalmente le due costituenti biologiche dell’articolazione coxo-femorale ovvero l’acetabolo e il femore prossimale.

La protesi totale dell’anca si compone di:

-ACETABOLO o COTILE

-INSERTO FEMORALE

-TESTA FEMORALE

-STELO FEMORALE 

Prima dell’intervento viene eseguita un’accurata pianificazione sull’rx del paziente al fine di valutare quale protesi meglio riproduce l’anatomia dell’anca da operare. Difatto non è il paziente ad adattarsi alla protesi ma è la protesi ad essere scelta per meglio adattarsi al paziente. In tal modo si riduce al minimo il rischio di errore in corso di intervento.

Sia l’acetabolo che il femore artificiali vengono impiantati in porzioni di bacino e femore sane.

Il COTILE, generalmente metallico, viene inserito sul bacino nella omonima tasca cotiloidea previa fresatura crescente della stessa ed ha in sè l’alloggiamento per l’inserto di polietilene, ceramica o metallo a seconda dell’età biologica ed ossea del paziente.

Lo STELO viene saldamente fissato all’osso utilizzando o meno, a seconda della tipologia di canale femorale, il cemento polimetilmetacrilato. L’impianto di uno stelo non cementato, che chiamermo a press-fit, prevede la preparazione del canale femorale con apposite brocce di misura crescente sino all’impianto della broccia definitiva che si incastrerà letteralmente all’interno dell’estremo prossimale del femore senza impiego di cemento.Gli impianti a pressfit sono generalmente realizzati in titanio e presentano una superficie porosa e un rivestimento per favorire la crescita di tessuto osseo attorno alla protesi, dando così luogo ad un fissaggio biologico. In questo modo si assicura sia la stabilità primaria , cioè a breve termine, della  protesi mediante press-fit, sia una stabilità secondaria, cioè a lungo termine. Quest’ultima si ottiene grazie ad un ancoraggio biologico dovuto alla crescita e al rimodellamento del tessuto osseo che circonda la protesi.

La scelta dello stelo è di fondamentale importanza, infatti noi preferiamo scegliere steli femorali che permettano di preservare quanto piu collo femorale possibile al fine di ridurre al minimo la perdita di osso femorale utile per eventuali futuri interventi di revisione. Si precisa che ogni protesi ha il suo livello di ingombro e un suo livello di oteotomia ovvero di taglio percio preservare il collo femorale del paziente vuol dire risparmiare osso femorale con impianti detti a preservazione di collo femorale.

Vale a dire che facendo una osteotomia piu alta rispetto agli steli tradizionali si è meno invasivi e più parsimoniosi nei confronti del bone stock del paziente.

La scelta dell’impianto da utilizzare varia per ogni singolo paziente in funzione di molteplici fattori quali la morfologia del collo femorale, l’età bilologica del paziente, il bone stock femorale ed acetabolare nonchè le richieste funzionali del paziente.  Difatti il chirurgo deve scegliere sulla base di un accurato planning su lastra del bacino in ortostatismo la tipologia di impianto che meglio riproduce l’anatomia dell’assistito (al fine di evitare problematiche intra e post-operatorie quali fratture etc..).

L’operazione di sostituzione totale dell’anca  ha come obiettivi:

-la risoluzione del dolore,

-la riduzione della rigidità

-il ripristino della fisiologica deambulazione.

La deambulazione con ausili viene concessa già a partire dal 2° giorno postoperatorio ma è necessario proseguire con opportuna specifica fisioterapia finalizzata al recupero di una fisiologica deambulazione e della completa articolarità dell’anca.

SI FORNISCE AI PAZIENTI TRATTATI CHIRURGICAMENTE, SU RICHIESTA VIA MAIL dr.ceretti@gmail.com LA GUIDA STAMPABILE CON IL FINE DI ILLUSTRARE IL PERCORSO RIBILITATIVO DA SEGUIRE UNITAMENTE AGLI ACCORGIMENTI DA ADOTTARE.

Tempi di recupero

I tempi di recupero dopo l’intervento di artroprotesi d’anca sono variabili a seconda di fattori quali l’età biologica, il tonotrofismo muscolare, le condizioni generali del paziente.

Mediamente il ritorno all’attività lavorativa può avvenire, in caso di lavori scarsamente impegnativi sul piano fisico, dopo 15 gg, altrimenti dopo 2 -3 mesi dall’intervento. Il ritorno ad una attività normale completa si ha dopo 3 mesi dall’intervento s.c.

Caso clinico 1- pz di 65 aa con coxartrosi primaria trattata chirurgicamente con impianto di artroprotesi con stelo preservazione di collo

CASO CLINICO 2 – Pz con artrodesi spontanea